Messaggi in bottiglia dalla Tunisia postrivoluzionaria, di Serena Esposito

Pubblicato il 17/12/2019

Se non saranno gelsomini, qualche altro fiore sboccerà.


Il nostro viaggio alla scoperta delle novità e dei grandi classici della letteratura araba continua con un libro in bilico tra saggistica e narrativa, tra Italia e Nord Africa, tra sfide locali e problematiche globali. “Message in a bottle”, di Mario Sei, è un’antologia di interviste a 12 giovani tunisini la cui vita è stata profondamente segnata dai moti rivoluzionari del 2011, passati alla storia come Primavere Arabe ed oggi annoverati tra gli avvenimenti più pregnanti della contemporaneità araba.


Mario Sei, ricercatore italiano e docente di Letteratura Italiana Contemporanea presso l’Università La Manouba di Tunisi, con piglio analitico raccoglie in dodici capitoli le testimonianze di sei ragazzi e sei ragazze tra i 24 e i 34 anni, studenti della facoltà di Lingua e Cultura Italiana, restituendoci dei veri e propri messaggi in bottiglia, degli SOS chiari e coincisi provenienti dall’altra parte del Mediterraneo.


I protagonisti di questi racconti condividono il ricordo di un’infanzia povera, vissuta nelle zone rurali del paese o nella regione dei bacini minerari, dove l’aria è spesso irrespirabile a causa delle esalazioni provenienti dalle miniere. Ad un’infanzia così complicata si contrappone una giovinezza stimolante, trascorsa nella capitale tra i corridoi della Manouba. La quotidianità delle lezioni viene però interrotta dalla scintilla della rivoluzione, a cui molti di questi ragazzi partecipano attivamente. Le rivolte regalano una boccata d’aria e di speranza a giovani studenti assuefatti ad un vero e proprio regime. La differenza abissale tra il prima e il dopo non passa inosservata agli occhi dello stesso Sei, che, osservando i suoi studenti, nella prefazione al volume, scrive: “Abituati a vivere in un sistema che pretendeva il rispetto ossequioso e servile per ogni forma di autorità, avevano finalmente trovato il coraggio per esprimersi, rivendicare diritti e rivolgersi al loro professore senza quell’eccessiva riverenza che prima di allora, pur sforzandomi, non ero riuscito a modificare”.


All’interno di queste pagine, tuttavia, non leggiamo il racconto entusiasta di una rivoluzione che è passata alla storia, ma il triste resoconto di un presente sterile e senza opportunità. I temi costanti dei 12 racconti proposti sono dunque la disillusione, l’apatia, la noia. Giovani laureati sono costretti dalla crisi economica del paese e dalla disoccupazione dilagante a trascorrere le proprie giornate in un infinito spazio bianco, un limbo d’attesa verso un futuro migliore che tarda ad arrivare e che, dopo i fallimenti politici postrivoluzionari, sembra una vera e propria chimera. L’illustrazione della copertina è un chiaro indizio degli esiti a cui conduce l’amarezza per la mancanza di un futuro. Mohamed, 28 anni, lo spiega chiaramente nel capitolo dedicato alla sua storia: “Vivere così è brutto, perché ti senti sempre come in una sala d’attesa e arrivi a detestare il tuo paese, la tua città. In molti, a noi giovani che vogliamo partire, ci accusano di essere deboli, di tradire il nostro paese e di non aver voglia di lavorare. Ma non è vero, in realtà è proprio il contrario: è il nostro paese che ci ha tradito e messo ai margini”. Lasciare la Tunisia alla volta dell’Europa sembra essere la sola opportunità di fuga dal nulla in cui questi ragazzi sono imprigionati. La speranza di fuggire si scontra però con l’Europa dei porti chiusi, del razzismo e dell’emarginazione del diverso.


Mario Sei, attraverso queste interviste, ci restituisce uno spaccato di vita e di gioventù che in fondo non è diverso da quello che circonda i giovani europei. Le frustrazioni, le ansie, le delusioni di questi studenti si sovrappongono con fenomeni e tendenze tipiche dell’occidente contemporaneo quali la precarizzazione del lavoro, lo scientismo del sapere, le problematiche identitarie, lo spostamento della soglia d’ingresso nell’età adulta. Ad un panorama politico molto distante dal nostro si accosta così la fotografia sociale di un paese chiamato ad affrontare una sfida non troppo dissimile da quella italiana. La lettura attenta di queste storie evidenzia dunque come il processo di trasformazione di cui la Tunisia è stata protagonista a partire dal 2011, non si può certo dire terminato, soprattutto in virtù della persistenza di parte di quelle spinte che innescarono le Primavere.


Se siete curiosi di saperne di più , non vi resta che venirci a trovare da Tamu, mercoledì 18 dicembre, in occasione della presentazione del libro con l’autore (in collegamento skype), Lorenzo Feltrin, ricercatore e Felice Rosa, fotografo freelance.


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