La stagione della migrazione a Nord di Tayeb Salih

Pubblicato il 9/04/2021

La stagione della migrazione a Nord è considerato tra i più bei romanzi in lingua araba composti nel Novecento. Tradotta in più di 30 lingue diverse, l’opera appare per la prima volta sulla rivista “Ḥiwār” nel 1966, prima di essere pubblicata come libro autonomo tre anni più tardi dall’autore al-Ṭayyb Ṣāliḥ, grande esponente della letteratura sudanese. Nato nel 1929 in un piccolo villaggio di campagna, al-Ṭayyb Ṣāliḥ trascorre numerosi anni della propria vita lontano dal paese natio, in viaggi continui tra l’Africa, l’Europa ed il Medio Oriente. Costantemente in bilico tra mondi radicalmente diversi, nei suoi romanzi l’autore sembra cercare una qualche stabilità nelle proprie origini, facendo così del paesaggio rurale sudanese lo sfondo perenne alla narrazione.


Come si evince dal titolo, la relazione tra Sud e Nord e, in senso allargato, tra “Oriente” e “Occidente” costituisce una questione centrale all’interno di موسم الهجرة إلى الشمال (Mausim al-hiğra ‘ilā aš-šamāl). Non si tratta di una tematica nuova: fin dal XIX secolo, la letteratura araba prolifera di riḥla, ovvero resoconti di viaggi per lo più compiuti in Europa da intellettuali in cerca di un’istruzione migliore. Tale corpus di testi definisce l’orizzonte di attesa del lettore arabo che si approccia a questo romanzo verso la fine degli anni Sessanta. Tuttavia, le aspettative sono ben presto eluse: fin dalle prime righe, si comprende che l’obiettivo del narratore non è raccontare la propria esperienza nella lontana Europa, bensì il proprio ritorno alle origini, alla vita nella tribù, ai ritmi della natura:


Tornai dalla mia famiglia, signori miei, dopo una lunga assenza, sette anni per l’esattezza, trascorsi a studiare in Europa. Imparai molto […] ma questa è un’altra storia. L’importante è che tornai.


L’opera si pone così, fin da subito, in piena rottura con la narrativa odeporica tradizionale: al centro dell’attenzione non vi è più l’Europa, l’Occidente; l’interesse si focalizza piuttosto sulla campagna sudanese e sulla sua società tradizionale, sul Sé … un Sé profondamente alterato dall’incontro con l’Altro. Dopo sette anni di assenza il protagonista, voce narrante senza nome, torna dunque al villaggio natio dove ritrova immutato quel mondo che, anni prima, aveva lasciato. L’antico equilibrio sembra essere ripristinato, se non fosse per un personaggio misterioso da poco trasferitosi nel villaggio: Muṣṭafā Ṣa῾īd. Alter ego del narratore, come quest’ultimo Muṣṭafā trascorre diversi anni della propria vita in Inghilterra, dove si macchia di un terribile crimine. Economista brillante di giorno, di notte si trasforma in cacciatore di prede femminili, incarnando a pieno l’immagine stereotipata dell’”uomo orientale” selvaggio e violento, guidato dai propri istinti e pulsioni sessuali. Come per vendetta, ecco che l’uomo nero parte alla conquista dell’Occidente colonizzatore, seducendone le donne con il proprio fascino esotico e conducendole, una dopo l’altra, al suicidio. In un’Europa profondamente impregnata delle teorie orientaliste, Muṣṭafā Ṣa῾īd si ritrova così vittima di un’immagine che lo rende carnefice e, dopo aver assassinato la propria moglie al culmine di un ultimo rapporto sadomaso, decide di lasciare l’Inghilterra per sempre. Egli torna dunque in Sudan dove, tormentato dai fantasmi del passato, incontra un destino funesto che turberà profondamente gli equilibri del villaggio e la vita del narratore, a sua volta incapace di ritrovare la pace. Difatti, l’esperienza in Europa sembra far vacillare ogni certezza, al punto che, pagina dopo pagina, anche la percezione del mondo tradizionale, idealizzato durante i lunghi anni di lontananza, cambia radicalmente. Nelle prime righe del testo, in particolare, il ritorno al villaggio natio è descritto come ritorno a una dimensione reale, quella di una vita vissuta nella sua pienezza e nel calore della società tribale, dopo sette anni trascorsi nel paese in cui persino “i pesci muoiono di freddo”. La strategia narrativa divide l’universo del protagonista in due poli contrapposti: da una parte vi è l’Europa, la lunga assenza, il freddo, la morte; dall’altra il ritorno in Sudan, la vita vera, il calore del sole e l’accoglienza della tribù. Eppure, questo sistema bipolare sembra ben presto sgretolarsi, a favore di un approccio alla realtà molto più ambiguo e problematico, in cui l’individuo si ritrova privo di certezze e in cerca d’identità. Tale approccio si incarna nella figura di Muṣṭafā che, profondamente sconvolto dall’incontro con l’Altro, cerca riparo nel mondo tradizionale dal quale proviene. Questo mondo, tuttavia, si rivela ormai troppo stretto: con i suoi valori e i suoi codici imposti, il sistema tribale finisce per soffocare l’individualità consapevole di Muṣṭafā Ṣa῾īd che, sospeso in bilico tra due mondi diametralmente opposti, soccombe. Il senso di angoscia esistenziale si traduce così nell’enigmatica scomparsa del personaggio: affogato o lasciatosi affogare, egli si abbandona al flusso del Nilo che, scorrendo inesorabile verso Nord, cancella il destino individuale senza lasciarne alcuna traccia. Il corpo di Muṣṭafā, difatti, non sarà mai ritrovato. Accanto all’opposizione Sud-Nord, ecco che un’altra tematica fondamentale emerge, conducendo il lettore a interrogarsi sul rapporto tra individuo e collettività, e, in particolar modo, tra individuo e tribù. Alla fine del romanzo, il protagonista stesso, sconvolto dal susseguirsi degli eventi, si ritrova nel Nilo, sul punto di lasciarsi morire e di perdersi totalmente tra le acque del fiume… ma, diversamente da Muṣṭafā, sceglie di salvarsi invocando aiuto. La resilienza finale del narratore appare ancora più enigmatica della morte del suo alter ego: forse esiste un’alternativa a questa semplicistica bipolarizzazione del mondo? Forse esiste un punto d’incontro tra il Sé e l’Altro, tra il Sud e il Nord, tra l’individuo e la collettività? Terminata l’ultima pagina, tante domande restano sospese. Si tratta di domande che, in un’epoca in cui la colonizzazione è un ricordo ancora fresco, spiazzano il lettore e lo conducono, per la prima volta, a mettere in discussione una determinata visione del mondo. Stagione della migrazione a Nord segna così una vera e propria svolta nella storia del pensiero e della letteratura araba: tra i suoi meriti principali vi è quello di aver suggerito un nuovo modo di concepire i rapporti tra “Oriente” e “Occidente”, promuovendo un approccio del tutto inedito per l’epoca e invitando alla demistificazione delle costruzioni ideologiche inconsciamente acquisite. Poco più di dieci anni più tardi, tale approccio troverà un’espressione più matura nel pensiero di Edward Said e del postcolonialismo più in generale.

Greta Sala


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