di Laura Guidi
Il libro di Sara Borrillo “Femminismi e Islam in Marocco. Attiviste laiche, teologhe, predicatrici” (ESI, 2017) ci guida alla scoperta della pluralità e della ricchezza di agency politica, culturale, sociale, religiosa delle donne marocchine. Ci introduce nel variegato mondo dei femminismi di questo paese, basandosi su fonti documentali ufficiali, testi di autori protagonisti del dibattito pubblico marocchino, pagine web di associazioni e gruppi locali. Alla ricca varietà di fonti a stampa si aggiungono le testimonianze orali raccolte sul campo tra il 2008 e il 2014, del cui valore “soggettivo” l’autrice sottolinea l’utilità epistemologica, citando Alessandro Portelli. Notevolissima è poi la bibliografia, che comprende testi in francese, inglese, arabo e italiano. Una delle componenti più significative del femminismo marocchino è quella d’impostazione laica, che fa riferimento ai Diritti Umani e ad una visione universalistica dell’uguaglianza di genere, come spiega nella sua intervista Hadiga Riyadi, ex presidente dell’AMDH (Associazione marocchina per i diritti umani). Benché questa posizione critichi con forza gli stereotipi attraverso cui l’Occidente rappresenta le donne islamiche, il femminismo laico di Hadiga Riyadi ha come proprio riferimento identitario una nozione universalistica di “civiltà”, che travalica i confini della comunità islamica. Una seconda componente del femminismo marocchino si basa su riletture molto radicali dei testi sacri, di cui ribaltano significati misogini, discriminatori verso le donne. È il caso di studiose come Asma Lamrabet, direttrice del CERFI (Centre d’études et recherches sur les femmes dans l’Islam) e promotrice del gruppo internazionale GIERFI – Groupe International d’études et recherches sur les femmes dans l’Islam -, fondato a Barcellona nel 2008) che si accosta ai propositi degli “ulama riformatori” Accanto a questi e ad altri gruppi, Borrillo individua, nel Marocco contemporaneo, studiose e divulgatrici di testi sacri – le muršidat, le alimat – legate all’establishment marocchino (in cui, non dimentichiamo, il sovrano è al tempo steso capo della comunità religiosa) e funzionali al controllo religioso e politico di un mondo femminile in fermento. Laddove la monarchia intende consolidare capisaldi della tradizione come il patriarcato e il potere teocratico, accetta tuttavia a fini di consenso una “modernità non democratica” che presenta aperture verso le donne, soprattutto a partire dalle iniziative di Hassan II nel 1992, poi con la modifica della Costituzione nel 2011 e la relativa affermazione dell’uguaglianza di genere. Ma come conciliare questa apertura democratica con la teocrazia marocchina? L’autrice osserva che benché le “predicatrici” e le “studiose” siano funzionali al regime, dalle loro interviste emergono scarti rispetto a una semplice osservanza della lettura tradizionalista dei testi sacri. A sottolineare tali contraddizioni, Borrillo mette a confronto le interviste attraverso schemi comparativi che consentono di evidenziare differenze, incompatibilità, ma anche punti di contatto tra gruppi di attiviste (siano o non siano femministe). L’autrice si chiede se, entrando nei dispositivi del potere religioso, le donne lo modifichino dall’interno, o, viceversa, si limitino a rafforzarlo e legittimarlo. A tale penetrazione si affianca quella nell’apparato istituzionale pubblico (ma non ai livelli della decisione e del potere). Le stesse studiose femministe si chiedono se predicatrici e studiose riconosciute dal regime sapranno levare voci critiche o se saranno, al contrario, semplici pedine del potere costituito. Le interviste riguardano temi di fondo, quali la posizione delle attiviste più legate all’Islam sul genere, discusso in termini di complementarietà e/o destino biologico, o l’eguaglianza donna-uomo nel rapporto con Dio. Questioni più specifiche ci portano nel vivo della società marocchina, toccando i punti “caldi” delle questioni più controverse. Cosa pensano le attiviste di poligamia, ripudio, idda, matrimonio con un non musulmano, matrimoni “riparatori” con minori? L’eredità femminile deve ancora limitarsi al 50%, come recita il Corano? Una donna può svolgere lavoro extradomestico senza il consenso del marito? Una serie di domande riguardano il corpo e la sessualità: aborto e contraccezione sono ammissibili? In caso positivo, lo sono in nome della libertà della donna o della sua salute? Una donna può rifiutarsi sessualmente al marito? La donna mestruata è “impura”? Quali sono i limiti del dovere di “obbedienza maritale”? È lecita la daraba (correzione maritale)?. Altre domande riguardano le relazioni pre-matrimoniali e l’omosessualità. Altre ancora, assai rilevanti nel mondo islamico, le regole sul pudore in relazione al “coprire il corpo”. Il regime, come si è detto, presenta un atteggiamento contraddittorio: vuole modernità senza democrazia, combatte le femministe laiche, ma aderisce alla CEDAW. Promuove l’alfabetizzazione, di cui si occupano le predicatrici, che entrano nelle comunità e nelle case. Ma controlla l’uso dei media e non sempre promuove l’alfabetizzazione digitale. Dal n°20 (2019) di “La camera blu” rivista di studi di genere. Laura Guidi è stata professore associato di Storia di Genere e Storia Contemporanea all’Università di Napoli Federico II. Ha pubblicato molti saggi su varie questioni di storia sociale e culturale del XIX e XX secolo. Fa parte della direzione della rivista internazionale “La camera blu. Rivista di Studi di Genere” dell’Università di Napoli Federico II. É socia fondatrice della Società Italiana delle Storiche.